martedì 23 marzo 2010
Alice in Wonderland di Tim Burton (2010)
Dopo una lunga attesa, Tim Burton torna sugli schermi con una trasposizione libera e personale dei due romanzi di Lewis Carrol Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie e Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò. Un’occasione unica per far coincidere due mondi così simili e al contempo così diversi e una grossa soddisfazione per il visionario di Burbank che rientra alla Disney come un figliol prodigo, fattore che testimonia il suo ormai indiscutibile status di genio.
Va da sé che una tale operazione generi non poche aspettative e una certa curiosità nel valutare come Burton riesca a innestare il suo retroterra gotico all’interno di una storia che ha nel nonsense la sua valvola di sfogo. Per la verità della “Alice” letteraria ci rimane ben poco. La vicenda omette il viaggio narrato nei libri di Carrol (restituito soltanto in un breve flashback) e ci presenta una protagonista diciannovenne, in età da marito, che, decisa a sfuggire alle regole dell’Inghilterra Vittoriana, segue nuovamente il Bianconiglio in una nuova avventura nel paese delle meraviglie. Oltre all’impianto narrativo, in questa trasposizione viene meno l’andamento caotico del testo di riferimento in favore di una trama più canonica che contiene numerosi rimandi al fantasy di nuova generazione.
Paradossalmente il film, dopo un buon preludio, con l’allontanarsi dal mondo di Carrol finisce col distanziarsi anche dalle atmosfere burtoniane, restituendo una standardizzazione disneyana sia di ambienti che di personaggi. Il cappellaio matto, Pinco Panco e Panco Pinco, la regina rossa e la regina bianca sono tanto caratterizzati a livello fisico quanto piatti e sostanzialmente poco interessanti se analizzati sul piano narrativo e, cosa incredibile a dirsi, neanche lontanamente paragonabili ai meravigliosi freaks che da sempre popolano il suo cinema. A onor del vero gli attori fanno il possibile per dare il loro meglio, su tutti spicca l’ottima interpretazione di Helena Bonham Carter nella parte della “capocciona rossa”, ma restano limitati all’interno di uno script che pare virare verso una semplificazione tematica, forse per rivolgersi a un target più ampio (e gli incassi lo dimostrano!). E così, nonostante indubbi tocchi di classe e una scenografia straordinaria (penalizzata in parte da un 3D realizzato in postproduzione e sostanzialmente inefficace), il film si trascina stancamente verso il finale, spiazzante e al contempo poco credibile, che denota una rilettura in chiave femminista della fonte di riferimento.
Insomma, Burton con Alice non fa “meraviglie” e anzi raggiunge probabilmente il punto più basso della sua parabola autoriale. Il talento allontanato da Disney per la sua eccessiva autonomia, nel suo ritorno all’ovile finisce con l’imprigionare il suo estro. Speriamo per il bene del cinema che il prossimo progetto restituisca credibilità a un vero e proprio genio, che ultimamente (anche Sweeney Todd non aveva entusiasmato) sembra un po’ a corto di idee.
Voto: 5,5
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